
Signor Baricci, lei è stato uno dei padri fondatori del Consorzio del Brunello, quindi comincio proprio col chiederle perché è nato il Consorzio, cosa ha spinto voi produttori a consorziarvi?
Il Dottor Ciatti, dell’Ispettorato all’Agricoltura qui di Montalcino, ci ha spinto a formare il Consorzio partendo da una base iniziale di 25 produttori fra i quali c’erano dei coltivatori diretti che allora non possedevano neanche la vigna, i mezzadri, e anche qualche azienda. Io sono stato il primo firmatario a sottoscrivere lo statuto. Agli albori della nascita del Consorzio (1967), il Brunello di Montalcino stava per essere classificato come DOC (1966), e grazie all’abilità del già citato Dottor Ciatti e alla determinazione del Presidente del Consorzio di allora (Enzo Tiezzi) si è marciato speditamente verso la DOCG del 1980, per preservare ancora di più la qualità di questo prezioso nettare. Il Brunello è stato il primo vino in Italia ad avere la docg, anche se ad “indossare” la fascetta di stato siamo stati i secondi, per via della messa in commercio non prima di 5 anni dalla vendemmia (un vino del nord Italia aveva 4 anni quindi si è fregiato di avere per primo i contrassegni di Stato).
Quali sono le principali battaglie che ha combattuto da membro del Consiglio del Consorzio di tutela del Brunello?
Quando qualcuno in Consiglio voleva proporre di riaprire gli albi dei vigneti, per piantarne altri ed aumentare così la produzione di vino, io dissi che assolutamente non era cosa da fare, e feci questo semplice ragionamento: se i clienti vengono qui a Montalcino e chiedono 1000 bottiglie, noi gliene vendiamo 500 tirando pure il prezzo; se invece si produce troppo logicamente il prezzo scende e magari la qualità percepita del vino diminuisce. Anche alla Doc Sant’Antimo sono sempre stato contrario, rimasi l’unico in Consiglio a sostenere che non si doveva fare: invece la fecero e oggi giorno non c’è più nessuno che lo vuole quel vino. Alla lunga posso dire che c’avevo ragione io…
La collina di Montosoli, dove sorge l’azienda da lei fondata, è uno dei luoghi più adatti per la coltivazione del Brunello, quali sono le specificità di questo terroir?
Sicuramente c’è un clima unico nella zona in quanto la collina non è troppo alta, sui 280 m s.l.m e dista 7 km da Montalcino. Quando ho comprato il terreno a Montosoli verso la fine del 1955, dove poi ho costruito la cantina, facevo il vino ignorando l’unicità di questo specifico micro-clima: però in effetti mi dicevano che il vino prodotto qui, già dalla fine del ‘800, vinceva annualmente il primo premio a Siena, alla celebre mostra dei vini. All’inizio non possedevo vigneti specializzati, il podere era costituito da vigneti in promiscuità con gli ulivi, e ricordo come adesso che quando acquistai il terreno c’era da fare un gran lavoro di ripulitura dai sassi, poi c’era da rifare gli innesti alle viti e allora ho cominciato a metter tutto Sangiovese. In pochi anni son partito col produrre vino ma sempre in piccole quantità, agli inizi infatti si raccoglieva 50 quintali di uva al massimo, quando andava bene.
Quando ha messo in piedi questa splendida realtà vitivinicola avrebbe mai pensato che il Brunello sarebbe arrivato a creare il mito che oggi si vive (e si beve) in tutto il mondo?
Modestamente dico di sì. Sono stato tra i primi a credere nelle potenzialità che ci potevano essere nei vini di questo territorio ilcinese, unico nel suo genere; certo non mi aspettavo tutto questo successo di Montalcino legato soprattutto al Brunello, ma quando siamo partiti tutti uniti con il Consorzio c’era l’entusiasmo di creare un prodotto fra i migliori d’Italia. Il primo vino che ho vinificato è stato il Rosso di Montalcino vendemmia 1958, successivamente è nato il mio primo Brunello nel 1961.
Vinificare è un’arte, chi produce vino è un artista. Quali sono stati i suoi segreti, le sue abilità?
Terreno speciale e unico, potatura corta, diradamento dei grappoli. Quando ho iniziato io si può dire che non c’era nemmeno il bisolfito… Io sono nato nelle vigne, quella è stata la mia vera scuola e non ho avuto modo di intraprendere altri studi: ho sempre saputo che se l’uva era buona, anche il vino risultante era buono! (risata)
Negli ultimi 20/30 anni c’è stato il boom scientifico-tecnologico in campo agricolo e quindi anche enologico: come ha vissuto questa trasformazione?
Io ho sempre “tirato al mi’ viaggio”, ho sempre seguito la mia strada perché il vino mi veniva buono, la gente lo apprezzava e lo comprava. Un vino onesto e tradizionale. I clienti si “accontentavano” così… Dalla Germania alla Svizzera, bisognava stare attenti a dargliene poco perché non ne avevo altro, la produzione era quella lì e loro poi prenotavano sempre il vino anche per l’annata successiva, attestato dunque della bontà del mio prodotto.
Quali sono i complimenti maggiori che ha ricevuto per i suoi vini?
Un anno, se non sbaglio il 1986, sono venuti a trovarmi il Sindaco di Montalcino con una persona ignota, che non conoscevo. Il Primo Cittadino allora mi disse: “Baricci, hai vinto i 3 Bicchieri del Gambero Rosso!”… Onestamente io dissi che non sapevo neanche cos’erano questi “3 bicchieri”… (e qui scoppiammo tutti in una limpida risata). Poi felicemente mi sono recato così all’Hotel Hilton a Roma a ritirare il premio. Invece con la vendemmia 1984, anno che ricordo in particolare, presi il Primo Premio a Siena, al Concorso dei Vini dell’ Enoteca italiana, presentando il Rosso di Montalcino. Rimasi veramente sorpreso della vittoria perché quell’annata era considerata scadente a causa del maltempo. Io e Biondi-Santi fummo gli unici a decidere di non produrre il Brunello, sarebbero stati denari buttati via! Decisi così di produrre solo il Rosso e come già detto prima, vinsi al Concorso. Col senno di poi, se in quell’annata avessi vinificato anche il Brunello chissà quali altri premi avrei vinto…
Quali sono i valori più importanti da trasmettere alle nuove generazioni per continuare nella tradizione del vino di qualità a Montalcino? (qui entra in causa Francesco, il nipote di Nello che insieme al fratello ha preso le redini della cantina Baricci)
(Nello) I miei nipoti sanno benissimo cosa bisogna fare per continuare a mantenere Montalcino tra le capitali mondiali del vino di qualità…vero Francesco? (Francesco) – Si nonno, hai ragione… Rispetto per il passato prima di tutto. Negli ultimi tempi ci sono state delle discussioni perché qualcuno voleva cambiare il disciplinare, magari per permettere di tagliare il Brunello con altri vini. Mio nonno Nello insieme ad altri 25, hanno cominciato quando Montalcino non era niente, ora è famosa in tutto il mondo grazie a loro. Perché quindi si vorrebbe cambiare? Bisogna portare supremo rispetto per la tradizione che ha permesso al vino di Montalcino di arrivare a questi eccelsi standard qualitativi.
Qual’ è il suo rapporto personale con la natura, con la vigna?
Diamine, la vigna va senz’altro seguita con le puliture, va curata, va trattata… Però io son sempre stato contro il diserbo, perché inquina. Per quanto mi riguarda penso sia un oltraggio usare il diserbante nella vigna: ci sarà da lavorare di più, ben venga, ma il diserbo proprio l’ho sempre vietato. Ora c’è tanta scienza appresso alla vigna ma non occorre un Nobel per capire che tutti i prodotti che si danno alla vite poi è facile che li ritroviamo nel vino stesso…
La vigna, il vino, il suo piccolo-grande mondo nel quale ha deciso di vivere, le hanno dato più soddisfazioni o più tormenti?
Senz’altro se uno non c’ha la vigna, o non fa niente nella vita, ha meno pensieri… (risata) Quando va bene ovviamente siamo tutti contenti, l’annata è buona, l’uva matura al punto giusto e si fa un buon vino. Quando l’annata non è delle migliori c’è da tribolare, fare una maggior selezione dell’uva. Le mie angosce maggiori, e penso siano anche quelle di qualsiasi altro coltivatore diretto, sono derivate sempre dal brutto tempo, soprattutto dalla terribile grandine.
Si sa che la maggior parte delle vendite del Brunello vanno all’estero. Come si è evoluto l’export nella sua cantina, dove avete cominciato? Venivano qui direttamente dalla Svizzera, Germania, Danimarca… verso la fine degli anni ’70 per degustare e acquistare il Brunello. Oggi il vino si manda in tutto il mondo, l’ultima spedizione si è mandata a Taiwan, ma siamo attivi da una decina di anni anche su entrambe le coste degli USA… peccato, o per fortuna, che il vino l’è poco! E anche volendo, lì al Colombaio (Montosoli) non ci sono appezzamenti disponibili per piantare nuove viti.
Quando lei ha cominciato a produrre vino verso la fine degli anni ’50, ho letto che nelle osterie, nei bar del centro a Montalcino ci si poteva permettere non più di un bicchiere di “acquerello” o i “piccini” di vino tagliato, perché la povertà dilagava. Che effetto faceva produrre un vino d’elite, costoso, che la popolazione del posto non poteva comprare?
Quando ho iniziato a vendere il Brunello c’era un’ unica enoteca a Montalcino (Guglielmucci) che me lo chiedeva, perché cominciava questo flusso di persone per lo più intenditori di vino, che veniva apposta qui da tutta l’Italia e dall’estero per comprarlo. Ma gli ilcinesi sicuramente non lo acquistavano, non c’erano i soldi. Poi i paesani che avevano lasciato la campagna si mangiarono le dita dei piedi quando notarono che noi, avendo creduto nelle potenzialità delle vigne, si cominciava a guadagnare qualche buon franco. Debbo dire che anni più tardi qualcuno del paese comprava le vigne, perché era riuscito a risparmiare del denaro andando a lavorare nelle grandi città o aveva ereditato, e poi veniva da me “in stage”, come fate voi giovani ora, perché volevano che gli insegnassi a fare del buon vino.
Ultima domanda ma non meno importante: Brunello ieri, Brunello oggi quali sono le differenze principali che ha percepito?
Agli inizi si tappava col tappatore a mano e i tappi erano un po’ più scadenti rispetto a quelli di oggi, quindi alla lunga anche il profumo e il gusto del vino venivano influenzati. Ora invece si usa la tappatrice sotto vuoto e i tappi hanno una qualità superiore: può sembrare una banalità ma è importantissimo non sottovalutare la caratteristica del tappo. Poi senza dubbio s’ha da parlare della mutazione del clima che è andato ad influire sulla pianta e di conseguenza anche nel vino: 50/60 anni fa qui c’erano degli inverni più rigidi di oggi ed estati meno calde, quindi i primi Brunelli che producevo arrivavano al massimo a 12,5°alcool, ora se ne trovano anche a 14°/14,5°alcool, son più potenti… sul più bello interviene la moglie Ada, rimasta ad ascoltare attentamente per tutto il tempo e dice: Mio marito Nello, “come è partito è arrivato” : così come ha cominciato così ha mantenuto il suo operato in cantina fino a quando non è andato in pensione. Ha sempre seguito la sua idea con coerenza, duro e puro, proprio come l’uva con la quale si produce il Brunello: 100% Sangiovese!
Una degna conclusione per questa semplice ed interessante chiacchierata con un ilcinese che ha saputo proteggere e valorizzare nel tempo il patrimonio della sua terra. Un toscano verace, svezzato a terra e sudore, giustamente orgoglioso del suo lavoro che è poi la delizia dei nostri palati. Grazie a Nello, Ada e Francesco.

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