Poco prima delle rituali festività natalizie ho fatto visita ad Alfio Lovisa, titolare dell’ Azienda Agricola “La Ganga” (ovvero la banda) situata in zona Rauscedo, nel Comune di San Giorgio della Richinvelda, nella grave presenti tra il fiume Tagliamento e il torrente Meduna.

Parlare di Rauscedo significa indubbiamente declinare questa campagna sperduta a nord-est di Pordenone come la capitale europea, per non dire mondiale, della produzione di barbatelle: oltre 100 milioni ne vengono infatti coltivate ogni anno. Tenendo presente che la popolazione locale conta poco meno di cinquemila anime significa una produzione di 20.000 barbatelle pro capite, ma questo è soltanto un esercizio mentale nel caso volessimo far entrare virtualmente Rauscedo nel guinness dei primati. Per dover di cronaca è invece giusto puntualizzare che in questa zona son coltivati a vite oltre 2.000 ettari, ed è facile cosi comprendere che non è di certo l’allevamento della gallina ovaiola il core business di questo luogo.

Parlare di Alfio Lovisa, inserito nel contesto precedentemente descritto, mi ha fatto venire in mente un paragone che non vuole assolutamente andar a scomodare esimi personaggi, ma che forse qualcosa c’azzecca: dopo averlo incontrato, ho provato ad accostare Alfio Lovisa a Gino Strada, ho immaginato l’Azienda Agricola La Ganga come un presidio ospedaliero di Emergency in terra di conflitti. Lo so, forse il parallelismo è esagerato e per tanti versi improponibile, ma io Lovisa me lo sono immaginato proprio così. A Rauscedo di certo non ci son guerre in corso, ed incastonare La Ganga qui è come testimoniare l’effettiva esistenza di qualcuno che si occupa in maniera non convenzionale – rispetto al contesto produttivo – dello sviluppo e della cura della vite: nobili attenzioni che poi si riflettono positivamente nella produzione del vino.

Lovisa mi spiega che La Ganga ha una conduzione dei vigneti a regime “organico”, più che biologico o biodinamico, e discernere i sottili equilibri che connettono madre terra e padre cielo è imprescindibile per un’agricoltura che vuole essere rispettosa dell’ambiente (e quindi salubre per l’uomo). Certamente i principi steineriani sono ben saldi nel modus operandi di Lovisa e la profondità di ragionamento nell’affrontarli è stata per me stimolo di curiosità e attenzione. Sapere poi che le sostanze cosiddette co-formulanti presenti nei fitofarmaci utilizzati per i trattamenti nelle viti possono essere rintracciabili anche in alcuni vini – e possono risultare difficilmente smaltibili per l’organismo umano – è ulteriore stimolo di analisi e riflessione.

Fra una “lezione” e l’altra ho avuto modo di degustare alcuni vini:

il Pinot Nero in purezza “Pipinot”, annata 2013, è prodotto con macerazione a freddo pre-fermentativa di 4 giorni prima della fermentazione alcolica al quale segue un affinamento di 12 mesi in tonneaux di rovere francese e barriques di acacia: al naso colpisce il lampone, in bocca è fresco, sapido e dissetante con una lieve nota vanigliata.

La Nina” è uno spumante metodo classico brut nature ottenuto da uve di Refosco dal peduncolo rosso, dedicato alla figlia di Alfio Lovisa (la nina significa la bimba in friulano). Macerazione a freddo, il vino base ottenuto dalla fermentazione ha sostato 12 mesi in botti di acacia per poi compiere la rifermentazione (con l’aggiunta del mosto dell’anno successivo) e presa di spuma in bottiglia (17 mesi sui lieviti). Dopo la sboccatura ogni bottiglia è stata ricolmata con lo stesso vino. Spumante che reputo selvaggio, al naso un piacevole profumo di sottobosco e ciliegia, legnoso, in bocca si percepisce il tannino dell’acacia; a mio avviso non proprio di facile comprensione, forse avrebbe bisogno di una sosta in bottiglia più prolungata.


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