Finché c’è “ Riva “ c’è speranza. Bisognerà puntare tutto a livello di marketing e comunicazione territoriale seguendo il concetto delle micro-denominazioni dell’area collinare del Prosecco Superiore docg chiamate Rive? Sarà questa la migliore leva di mercato per far percepire al consumatore le peculiarità insite in questo prodotto rispetto ad altri generici prosecchi? Parlando di piramide della qualità, in futuro vedremo un avvicendamento al vertice della tipologia Rive rispetto allo ieratico Cartizze? Come si può far comprendere al cliente all’estero che il Prosecco Superiore Rive di Farra di Soligo è meglio di quello Nazario da Lima Eriberto prodotto in Brasile? (non sono propriamente convinto che quello brasiliano si chiami così…)
Questi e molti altri interrogativi sono stati velatamente toccati, uno dopo l’altro come il perlage dello spumante, durante la serata organizzata dalla Pro Loco di Col San Martino, in ambito della Mostra della Primavera del Prosecco Superiore docg, sul tema “La scoperta delle micro-denominazioni Rive docg del Conegliano-Valdobbiadene” e condotta dall’enologo Umberto Marchiori. Per amor di verità le Rive, parola dialettale trevigiana, sono dei piccoli fazzoletti di terra ricamati dai vigneti di Prosecco impiantati su pendii collinari particolarmente ripidi e scoscesi: tanto suggestivi e fascinosi dal punto di vista paesaggistico, quanto terribilmente intricati da coltivare e vendemmiare; chiamatelo pure do ut des con madre natura. “Basta che te vae in riva in zhò e te si rivà” – “Te vedarà che rive prima mi de ti”, ecco un breve excursus dialettale-folkloristico.
Nate con il nuovo disciplinare del 2008, ci sono oggi 43 tipologie di Rive nella docg corrispondenti ai Comuni o frazioni dell’area collinare: si parte dalla zona occidentale con le Rive di San Vito a Valdobbiadene, fino ad arrivare – già belli che sbronzi – alle Rive di Colle Umberto localizzate tra Conegliano e Vittorio Veneto.
I prosecchi degustati in questa formativa occasione erano tutti annoverati nella tipologia Brut (meno di 12 grammi di zucchero per litro). In effetti questo si rivela essere l’aspetto migliore per poter andar a valutare le differenze sensoriali e gustative delle diverse micro-zone, risaltando in totale pienezza l’identità territoriale di ogni singolo prodotto. In ogni caso comunque, oltre all’esposizione del vigneto, alle marne, alle arenarie e al sodio presenti in maniera così cospicua nelle colline del Conegliano-Valdobbiadene, anche l’approccio stilistico della singola azienda produttrice del prosecco e la particolare tipologia di lavoro svolto in vigna vanno chiaramente a concorrere sulla qualità finale del Prosecco.
In degustazione sono stati serviti sei spumanti: Rebuli Angelo e Figli, Rive di San Pietro di Barbozza 2015 – Bortolotti, Rive di Col San Martino 2014 – Adami, Rive di Farra di Soligo 2015 – Bianca Vigna, Rive di Soligo 2014 – Spagnol Col del Sas, Rive di Solighetto 2014 – Bernardi Pietro e Figli, Rive di Collalto 2015.
Non è mia intenzione stare qui a fare l’esegesi su ogni singolo prodotto, dico solamente che le differenze ci sono eccome, e vanno colte: c’è quello più fresco e floreale, quello più fruttato (frutta gialla soprattutto), quello più duro di acidità al palato – l’annata 2014 ha infatti lasciato i suoi segni – e quello più cremoso in bocca. I vini in questione sono tutti diversi tra loro, come lo sono i paesaggi naturali che contraddistinguono il Conegliano-Valdobbiadene e il plauso va certamente alle sapienti mani che caparbiamente coltivano questo ben di Dio. Abbeveriamoci dunque con gaudio di queste diversità.
Recommended Posts

Abbeverandosi tra le anfore di Casa Belfi
27 Apr 2016 - Degustazioni