Venezia è magica, Venezia è unica, Venezia è affascinante… Penso che qualsiasi aggettivo presente nello scibile letterario declinato in chiave positiva e messo affianco alla parola Venezia riesca a descrivere questa città in tutte le sue innumerevoli e incantevoli sfaccettature. Scoprire l’orto-giardino del Convento Santa Maria di Nazareth in quel di Cannaregio, proprio affianco alla Stazione dei treni di Santa Lucia, è stato come fare una tranquilla passeggiata nella campagna affianco a casa tua, il giorno di ferragosto, mentre tutti i tuoi amici litigano in spiaggia per recuperare centimetri quadrati preziosi nella lotta al posizionamento delle sedie sdraio.

Pace, tranquillità, serenità: sono le prime sensazioni che ti trasmette codesto incantevole luogo ameno. E pensare che proprio lì affianco, appena al di là dell’alta muraglia che protegge questo angolo di paradiso, ci sono in media 20 milioni di persone all’anno che giungono da ogni dove per visitare la Serenissima.

Il Convento è di proprietà dell’ Ordine dei Carmelitani Scalzi – il nome deriva da Carmelo (una delle celebri montagne della Palestina) in ebraico “Karmel” ovvero “giardino fiorito” – e pare che la sua apertura ufficiale a Venezia risalga al 1649. I monaci solevano riservare degli spazi all’ interno delle loro proprietà per coltivare ortaggi, frutta, fiori, far crescere alberi e per meditare immersi nella natura, in totale letizia. Certo anche la vigna diventava una pianta fondamentale per la vita cistercense, sia perché l’arbusto sacro è più e più volte citato nella Bibbia e anche perché, senza il vino, la messa non poteva venir celebrata! Cosi i monaci si dedicavano in perfetta autarchia nella cura delle vigne e nella produzione del vino. Come biasimarli: meglio prepararsi al celestiale paradiso già sulla terra!

Dal 2014 il Consorzio Vini Venezia si sta dedicando nel lodevole progetto di recuperare tutti i vitigni presenti a Venezia – come nel caso del Convento dei Carmelitani Scalzi – e di quelli riscoperti nelle isole della laguna, dalla Giudecca agli Alberoni, da San Lazzaro degli Armeni a Torcello passando per Sant’ Erasmo e Pellestrina, in maniera tale da custodire, analizzare e preservare un patrimonio ampelografico che ricalca meravigliosamente la storia del vino nella città lagunare.

Ogni filare di vite piantata nell’ orto del monastero dei Carmelitani rispecchia una varietà differente: Dorona, Trebbiano toscano, Vermentino, Albana, Tocai Friulano, Glera, Malvasia Istriana, Garganega, Verduzzo Trevigiano, Moscato Giallo per quanto riguarda le viti a bacca bianca; Raboso Veronese, Merlot, Marzemino le principali varietà a bacca rossa. Senza contare alcune tipologie di uva da tavola e altri ibridi che esulano dalla specie Vitis Vinifera.

Degne assolute di curiosità due varietà a bacca bianca, non così autoctone come quelle precedentemente elencate: la prima denominata “Rushaki”, scoperta a San Lazzaro degli Armeni, la quale deriva da un incrocio risalente al 1932 ottenuto a Yerevan (capitale armena) tra varietà Mskhali e Sultanina, che dimostra il duraturo legame tra Venezia e la terra dove la Vitis Vinifera moderna ha avuto origine. La seconda invece è una varietà israeliana, sia da tavola che da vino, chiamata Nehelescol (o anche Terra Promessa), identificata proprio nell’ orto-giardino dei Carmelitani Scalzi.

Che dire, oltre alle viti, questo angolo di beatitudine è circondato anche dagli alberi sacri quali il salice, numerosi ulivi, cipressi, palme e le piante di Melissa Officinalis dalle quali viene ricavata l’Acqua di Melissa, “inventata” proprio dai Carmelitani Scalzi come rimedio naturale ricco di proprietà rilassanti, antidolorifiche e antisettiche.

Vorrei ritornare in questo splendido luogo bucolico nella stagione della fioritura, quando tutto sarà ancora più vivido e colorato, quando i profumi e i colori di questa piccola-grande concentrazione di biodiversità saranno esplosi e fervidi. È un invito a scoprire la Venezia più nascosta, una preghiera al non rimanere nelle vie principali ma di guardare dietro l’angolo ed incuriosirsi ai luoghi solo apparentemente più misteriosi e inaccessibili, una metafora di vita che ti vuole suggerire di non fermarsi alle esteriorità ma di continuare a cercare una via che ti stimola, ti attira e ti appassiona.

(Un sentito ringraziamento al Prof. Mascarin che mi ha fatto scoprire questo Eden veneziano)


Comments

  1. almondo lucano Says: Aprile 3, 2020 at 12:56 pm

    ma la vite terra promessa è quella che fa grappoli lunghi un metro !se si mi può avvertire su luciano.almondo@alice.it grazie

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