Per me venire a vendemmiare in Armenia è paragonabile alla visita della celebre Galleria degli Uffizi, o ad un tour nella ‘città santa’ Gerusalemme oppure per un ‘bluesman‘ vagare e respirare musica tra le vie di New Orleans… È un’avventura culturale, è un desiderio che nasce spontaneamente e naturalmente dentro di te, consapevole dell’importanza storica del luogo che stai andando a visitare. Infatti secondo storici e ricercatori di livello mondiale è assodato che in Caucaso – negli attuali territori di Armenia e Georgia – siano iniziate le prime forme di domesticazione della vite (Vitis Vinifera) tra i 6.000 e gli 8.000 anni fa.

Inoltre, ad un chilometro in linea d’aria dall’altopiano dove abbiamo vendemmiato è stata trovata, nel villaggio di Areni, la madre di tutte le cantine del mondo risalente a circa 6.100 anni fa: dopo analisi compiute con il metodo della datazione al ‘Carbonio 14‘ su cocci di anfore, rudimentali presse in pietra e altri suppellettili trovati in questa caverna, denominata ‘Grotta degli Uccelli‘, si è provato che in questo luogo l’essere umano compiva le prime forme di vinificazione del liquido sacro a noi tanto caro: il vino!

La giornata inizia molto presto, la capitale Yerevan è ancora avvolta delle luci arancioni irrorate dai lampioni, alzando lo sguardo al cielo verso est si scorge qualche bagliore ‘giallo’ del sole che va alzandosi. Durante la prima parte del viaggio che ci separa tra Yerevan e la regione del Vayots Dzor, in direzione sud-est, l’imponenza del ‘sacro’ Monte Ararat è una presenza costante e ‘patriarcale’ dall’alto dei suoi 5.000 metri di altezza e non è sempre usuale vederlo come oggi – chiaro e limpido – perché spesso e volentieri è circondato da una ‘corona’ di nubi che avvolgono la vetta.

Dopo aver lasciato la valle dell’Ararat, attraversiamo il passo di montagna che ci collega alla regione del Vayots Dzor: qui si nota subito la presenza di giovani militari che stanno marciando in fila indiana a poca distanza dal bordo della strada in direzione opposta; oltretutto impressiona sentire il costante rumore delle pale degli elicotteri che volano bassi sopra le montagne per controllare il confine orientale della regione, quello rivolto verso l’Azerbaijan.

Lasciata la strada principale per salire verso il rurale villaggio di Aghavnadzor, a circa 1.400 metri di altitudine sul livello del mare, riconosco nitidamente il percorso sterrato che stiamo imboccando, quello che ci porterà alle vigne da vendemmiare: infatti qualche mese prima, lo scorso maggio, ero venuto qui per partecipare all’ improvvida competizione podistica ‘Vayots Dzor Vineyards Trail‘, la 21 chilometri che si dipana tra i vigneti della zona; ovviamente quel giorno pioveva a profusione, e più che un ‘trail’ sembrava un percorso di ‘pattinaggio’ sul fango.

Sobbalzati sù e giù per l’impervia strada sterrata con la 4X4 del mitico Mher, enologo armeno e proprietario della piccola cantina artigianale Crow’s Rock Winery, siamo finalmente arrivati al luogo di vendemmia pronti per raccogliere, insieme ai contadini del loco, il frutto della vite che di lì a poco il ‘nostro’ vinificherà con naturale e artistica maestria.

Il paesaggio è mozzafiato, la giornata è tersa, soleggiata e un venticello fresco mi solletica il viso giusto per ricordarmi che siamo in montagna. Le viti sono sparpagliate sul terreno, solenni, io invece mi sento come quegli scolaretti che appena suona la campanella della ricreazione si lanciano all’impazzata in cortile, a giocare; mai visto nulla del genere, tutte le piante cresciute in questa terra di origine vulcanica sono lì disseminate un po’ di qui e un po’ di là, quasi allo stato brado, naturali, selvagge. Sono viti a cespuglio, ‘bush vines‘ come si dice in inglese e ad un primo esame del tronco di legno hanno certamente un’età media molto elevata, più di cent’anni mi confermano i contadini del posto. Impossibile non toccarle, venerarle, ammirarle e vendemmiarle! Cominciamo infatti a riempire le cassette con l’uva nera Areni, che prende il nome del villaggio locale già citato in precedenza. Il grado ‘Babo’ ottenuto spremendo la polpa di un acino sopra lo strumento tecnico chiamato rifrattometro è intorno ai 23, perfetto per l’uva locale.

Il luogo è magico, l’ambiente bucolico circostante è una vasta sinfonia di colori che vanno dall’azzurro del limpido cielo al marroncino-giallognolo della terra passando per il verde brillante delle vigne, e la giornata procede riempiendo di uva cassette su cassette. In pausa pranzo i locali ci preparano un lauto pic-nic offrendoci ottimi formaggi freschi locali, salatissimi salumi vari chiamati ‘basturma‘, verdura appena colta e dulcis in fundo la vodka che producono artigianalmente in casa: se accendevo un fiammifero davanti alla mia bocca e ci soffiavo sopra dopo aver trangugiato uno ‘shottino‘ di quell’intruglio avrei potuto mettere in scena numeri da mangiafuoco.

La sensazione straordinariamente positiva di questi luoghi è che nonostante la distanza che mi separa da casa sia di oltre 3.000 chilometri, qui si rivivono e ritrovano la stessa eccellente accoglienza delle persone locali, la meravigliosa convivialità nello stare bene insieme, la gioia della condivisione di ottimo cibo e buon vino! Citando il sommo poeta armeno Daniel Varujan: ‘…e in queste coppe, danzando, berremo il vino dell’Amore’.

(Vi rimando al breve video – che pubblico qui sotto – della giornata di vendemmia per coglierne visivamente la bellezza di questi luoghi)

Video della vendemmia in Armenia

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